Perché La ragazza con la Leica ha vinto il Premio Strega

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La scrittura non è impeccabile, la protagonista ci appare un po’ stron*a, e allora perché La ragazza con la Leica ha vinto il Premio Strega?

Il Premio Strega 2018 ha incoronato Helena Janeczek, autrice tedesca, di origine polacca, naturalizzata italiana e il suo La ragazza con la Leica (edito Guanda) biografia romanzata di Gerta Pohorylle, ovvero la fotografa di inizio Novecento Gerda Taro.

Il romanzo io l’ho letto a cavallo di quell’incoronazione, non mi è piaciuto da matti e non mi è dispiaciuto da matti e qui vi dico perché secondo me è importante che proprio questo libro, proprio adesso, abbia ottenuto questo riconoscimento.

 

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La guerra civile spagnola: 1936 -1939

La piccola ispanista che è in me non può prescindere dal fare un piccolissimo preambolo e introdurre la guerra civile spagnola – perché è successo tanto tempo fa, perché non tutti hanno studiato la Storia e anche perché fa bene ogni tanto, una bella rinfrescata alla memoria.

Tutta la vicenda politica e sociale spagnola già dal finire dell’Ottocento è instabile: la corona vacilla, lotte intestine fra fazioni che parteggiano per l’uno o l’altro pretendente al trono lasciano spazio ai generali, capi militari che si fanno sempre più vicini al governo sino a prenderne il controllo. Il primo regime militare che si instaura è quello di Primo de Rivera nel 1923, l’ultimo, quello definitivo, sarà la dittatura fascista di Francisco Franco, che durerà poi sino al 1975, anno della morte del dittatore.

Franco era un generale spagnolo che era stato inviato in Marocco per una storia che non sto qui a spiegarvi (per chi è interessato: si tratta della seconda crisi marocchina). Sbarcato dal Marocco nel sud della Spagna si mette a capo di un esercito che risale tutto il Paese occupandolo. E’ il 1936 e per i successivi tre anni la Spagna sarà martoriata da una sanguinosa guerra civile. Nel 1939 Francisco Franco, sostenuto durante la guerra dalla Germania nazista e dall‘Italia fascista, prende il potere.

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Dall’altro l’altro della barricata ci sono tutti gli altri: gli spagnoli che non vogliono cedere il proprio Paese a una dittatura e tantissimi intellettuali venuti da tutta Europa che si riversano in Spagna, chi imbraccia le armi, chi presta la propria professionalità, come Robert Capa e Gerda Taro che intervengono proprio in veste di fotografi di guerra.

Di cosa parla La ragazza con la Leica

La ragazza con la Leica è la biografia romanzata di Gerda Taro.

Il libro è diviso in tre parti, ognuna delle quali è narrata dal punto di vista di una delle persone che furono vicine a Gerda e che la conobbero meglio.

Il ritratto di Gerda che viene fuori da La ragazza con la Leica non è straordinario: se da un lato apprezzo che l’autrice si sia tenuta lontana da toni celebrativi e tentativi di santificazione, dall’altro riconosco che gli è venuta fuori una protagonista davvero antipatica.

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Non so se Gerda fosse davvero così o è il ritratto che ne dà Janeczek, sta di fatto che la Gerda de La ragazza con la Leica sembra una ragazzina viziata e un po’ svampita, una di quelle belle che sanno di esser belle e fanno un po’ le gatte morte e che all’improvviso nella loro esistenza si appassionano maniacalmente a una causa o a un’idea (spesso solo per fini romantico/sessuali)  e stravolgono tutto il loro essere per assecondarla.

Così Gerda Taro: arrestata una prima volta in Germania perché faceva volantinaggio anti-nazista, si sposta poi in Francia, dove lavora saltuariamente come dattilografa e vive quasi in povertà. Attorno a lei moltissimi amici, molti ragazzi che sperano di diventare fidanzati, molti illusi, disillusi, molti vezzeggiati e poi abbandonati fino all’incontro con Endre Friedmann, colui che Gerda trasformerà in Robert Capa.

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Robert Capa la inizia alla fotografia, la Leica che lei usa in realtà è di Capa e insieme decidono di partire alla volta della Spagna per documentare la guerra civile. Gerda, giovanissima, appena ventiseienne, muore in un orribile incidente causato da alcuni aerei tedeschi.

Dopo ore di agonia, Gerda si spegne in un ospedale di Madrid e viene poi traslata a Parigi, dove viene sepolta, nel cimitero di Père-Lachaise.

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Perché La ragazza con la Leica ha vinto il Premio Strega

Come vi dicevo, questo libro non l’ho amato e non l’ho odiato.

Sicuramente ho trovato moltissimi difetti nell’impianto narrativo, difetti che ne rallentano la lettura e non la rendono piacevolissima. Il primo fra questi è il modo in cui tutto l’universo di Gerda è presentato: è la Parigi degli anni ’30, meta di tutti coloro i quali sfuggono dalla Germania, dall’Italia, dall’Ungheria. Un brulicare di giovani intellettuali che si ritrovano tutti lì e che finiscono per conoscersi tutti. Helena Janeczek presenta questo brulicare di gente in modo confuso, incoerente: spara nomi a raffica, poi ci butta su anche nomignoli, pseudonimi, nomi d’arte e diventa tutto un gran pentolone di gente che si muove attorno a Gerda ma che il lettore non riesce davvero a capire, a collocare e a mettere a fuoco. Che sia voluto? Boh, ci ho pensato anch’io. Magari l’autrice voleva davvero rendere il brulicare. Però che fastidio.

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L’autrice, Helena Janeczek, alla premiazione dello Strega 2018

Un altro difetto è sicuramente il modo in cui viene descritta Gerda: come vi dicevo, a me rimanda l’idea di una un po’ stronza. Ma da ciò che leggo in giro Gerda era (anche) altro. Forse, cercando di rimanere fedele al tema biografico, Janeczek si è un po’ persa dietro a tutti i fatti sentimentali e ha mancato di metter in risalto l’impegno politico.

Non ho ancora letto nessuno degli altri candidati (e fra tutti, La corsara mi chiama a gran voce) ma, tutto sommato, sono davvero contenta per questa vittoria de La ragazza con la Leica.

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E’ il fatto di trovarci nel qui&ora, in questo preciso momento storico, a mio avviso il perché La ragazza con la Leica ha vinto il Premio Strega.

La ragazza con la Leica ci ricorda della guerra, ci ricorda dei regimi totalitari, ci ricorda a cosa porta la noncuranza per la vita umana.

E ci ricorda un’altra cosa importantissima: non voltare lo sguardo, non disinteressarsi scocciati da ciò che ci succede intorno. Dovremmo tutti imbracciare una macchina fotografica o prendere in mano un taccuino e scrivere tutto, fotografare tutto, registrare tutto, in modo che non si possa dimenticare mai l’orrore.


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